La Lancia, lo Specchio, la Freccia e la Corona
Sahyd "Ifrit" Ebn-Kassem
Bio:
Il mio nome è Sahyd Ebn-Kassem.
Sono nato nel 1975 in Iraq a Bagdad da una famiglia benestante di mercanti.
Ero un bambino sveglio ma non mi piaceva andare a scuola in quanto preferivo l’azione, perciò quando ne ebbi l’opportunità, scelsi la carriera militare, cosa abbastanza frequente tra le famiglie benestanti.
Durante l’addestramento dimostrai di avere un discreto talento, tanto da diventare uno dei migliori della mia leva e la mia abilità nelle armi da fuoco leggere era incomparabile.
Questo mi rendeva orgoglioso (ancora oggi detesto perdere) ed essere il migliore mi gratificava.
Raggiunsi presto il grado di ufficiale e iniziai a essere mandato al confine per controlli alle dogane e ai vari checkpoint.
Nel 2003 iniziò il conflitto con l’America con l’invasione di Bagdad e la mia famiglia morì sotto i colpi dei mortai americani.
La mia spavalderia finì quel giorno e con essa la mia fame di gloria: non c’era nessun guadagno a morire sotto un cumulo di detriti.
Non c’era più nulla a legarmi a quella città e il mio patriottismo non era sufficiente a costringermi a rimanere e decisi così di disertare e cambiare vita.
Abbandonai tutto e mi affidai a un trafficante di uomini.
Dopo 4 mesi riuscii ad arrivare in Italia e decisi di trasferirmi in Sardegna per iniziare lì una nuova vita, magari più tranquilla.
Una volta giunto lì, trovai lavoro in un ristorante arabo a Cagliari, la paga era a malapena sufficiente per vivere e bere come una spugna nel mio giorno libero non mi aiutava ma era l’unica cosa che mi aiutava a non pensare alla mia famiglia e alla guerra in Iraq.
Una sera in particolare, uscii da un locale nella marina, ero così fradicio da non riuscire a camminare dritto. Stavo cercando un vicolo in cui pisciare e mi risultava particolarmente difficile perché il mondo non smetteva di muoversi. Finalmente lo trovai! Un vicolo buio con le transenne di lavori in corso, lì nessuno mi avrebbe disturbato.
Decisi che avrei fatto centro in un tombino aperto.
Mi ero appena calato le braghe quando a un tratto sentii qualcuno spingermi con entrambe le mani verso il tombino, persi il mio ormai precario equilibrio e finii dentro il tombino.
Non ricordo per quanto tempo mi sentii cadere ma ricordo che ad un certo punto iniziai a rallentare e dall’oscurità iniziarono ad emergere paesaggi colorati, boschi fantastici, castelli innevati, deserti solitari. Queste immagini turbinavano davanti ai miei occhi quando una in particolare si fermò all’improvviso e mi ritrovai nel giardino di una casa vittoriana, sdraiato sul prato con la testa che mi doleva e una gran voglia di vomitare.
Aprii gli occhi e vidi un volto che mi osservava.
Forse il termine osservare non è appropriato in quanto il viso della bellissima creatura che era rivolto verso di me, non possedeva occhi ma solo orbite vuote.
Ebbi un attacco di panico, volevo scappare, fuggire il più lontano possibile tanto che sembrava che la sbronza mi fosse passata di colpo ma non potevo, il corpo non rispondeva ai miei comandi e tutto ciò che potei fare fu fissare questa creatura di rimando.
Rispose sorridendo si mise poi un dito sulle labbra e fece:“shhhhh”.
Mi porse un biscotto e mi ordinò di mangiarlo: io obbedì e di colpo diventai delle dimensioni di un topo.
Egli mi prese e mi portò dentro la villa.
Arrivammo in quello che doveva essere il salotto: c’erano dei bracieri accesi, un camino, delle poltrone ottocentesche, un tavolo e delle finestre con grossi drappi sopra.
Quell’essere si avvicinò davanti a un braciere e semplicemente mi ci buttò dentro.
Iniziai a bruciare e soffrire di un dolore insostenibile ma questo non mi causava ferite e continuai a contorcermi senza mai morire.
Pareva godere della mia sofferenza e rimaneva a fissarmi per ore finché non si stancava e non mi metteva in una piccola gabbia per topi.
Questo incubo durò a lungo, sempre nella stessa maniera.
Dopo ogni “sessione” mi accorgevo di essere cambiato un po’, che qualcosa mi stava trasformando e questo andava di pari passo con l’interesse che il Fatato aveva nei miei confronti, sempre meno man mano che mi abituavo al fuoco finché non diventai interamente parte della fiamma assieme a cui danzavo.
Così iniziò ad usarmi come una vera e propria fonte di calore: a volte alimentavo una candela, altre risiedevo in vecchie lampade ad olio, altre volte venivo utilizzato per bruciare incenso o cucinare uno degli strani alimenti di quel mondo.
Mi dimenticai di essere umano, mi dimenticai della vita nel mio mondo…semplicemente dimenticai e persi completamente coscienza di me stesso.
Un giorno però mi risvegliai dal “torpore”.
Mi trovavo dentro la gabbia e il Padrone non era nel salotto.
Provavo paura ma questa mi aiutò a prendere la decisione di fuggire.
Strinsi le mani attorno alle sbarre della gabbietta e immaginai di essere dentro il braciere.
Iniziai subito a bruciare e le sbarre iniziarono a piegarsi lentamente sotto la trazione delle mie mani. Uscii dalla gabbia, finalmente ero libero!
Mi arrampicai sul tavolo, presi due dei biscotti che si trovavano su un piattino e uscii dalla villa. Fuori dall’uscio ne mangiai uno e ritornai immediatamente della mia statura originale.
Ricordo che incontrai altri due come me e corremmo assieme fuori dal giardino, verso un roveto al di là della recinzione.
I rovi ci ferivano e laceravano le nostre carni ma non ci importava.
Andammo dritti fino ad arrivare a una parete rocciosa con una piccola porta alta quanto le nostre ginocchia con scritto sopra “EXIT”.
Presi il restante biscotto, lo ruppi in 3 parti e ne diedi un pezzo a ciascuno dei miei compagni di fuga.
All’istante diventammo della grandezza giusta per passare attraverso la porta e ci buttammo dall’altra parte.
Uscimmo da un piccolo vicolo a castello, era giorno.
Ci guardammo in faccia e ci accorgemmo di non avere più le fattezze umane, eravamo qualcos’altro, segno che ciò che ci era successo era reale.
Passò di lì un bambino ma non sembrò stupito o spaventato nel guardarci: fortunatamente le altre persone non potevano vedere le sembianze che gli orrori passati ci avevano costretto ad assumere.
Ci separammo lì, loro non vedevano l’ora di tornare a casa mentre io non sapevo dove andare.
Per un po’ mi diedi alla malavita: qualche piccolo furto, un periodo di spaccio di droghe leggere, qualche commissione per loschi individui.
Il mio territorio d’azione era principalmente la marina e lì vidi per la prima volta qualcosa che non mi aspettavo di vedere: me stesso. Una copia esatta della mia persona girava ciondolante con una bottiglia di Vodka in mano in un caldo sabato estivo.
Seguii quella persona fino a piazza San Sepolcro. Erano le 2 del mattino e non c’era nessuno in giro. Ero molto vicino e potei constatare che quella persona era proprio un mio “gemello” quando ad un tratto si girò di scatto e guardò nella mia direzione con gli occhi sbarrati. Rimase fermo per 30 secondi buoni con lo stesso sguardo, uno sguardo che gela le ossa e ti scava nell’anima. Sapeva cos’ero ed ebbi una delle poche reazioni umane che sono ancora in grado di avere: paura.
Iniziai a correre più che potei per i vicoli del quartiere fino ad arrivare al caffé dell’elfo in piazza Yenne.
Entrai completamente sudato e ordinai una birra.
Girandomi attorno mi accorsi che una persona mi guardava incuriosita.
In realtà un tempo non l’avrei definita esattamente una persona perché il suo volto presentava tratti animaleschi, lupini direi.
Quella notte conobbi Maurizio Serra, il primo fatato incontrato dal giorno del mio ritorno.
Mi chiese a quale corte appartenessi ma io non sapevo nemmeno cosa fosse.
Dopo qualche domanda di rito, mi chiese allora che sentimento provassi se ripensavo al volto del mio ex padrone.
Avevo immagini offuscate del suo volto ma ricordavo bene il dolore della tortura, delle fiamme che avvolgevano il mio corpo e che non si sono mai staccate da esso.
Provai prima timore, poi la rabbia vinse su questo, e infine una ferocia mai provata prima si impossessò di me facendo contrarre ogni muscolo del corpo e ravvivando le fiamme che lo avvolgevano. Dopo quella reazione, Maurizio mi portò alla corte dell’estate a Palazzo Boyle e ne diventai così membro.
Grazie alla corte imparai a conoscere le mie capacità e ciò che un changeling è in grado di fare.
Ero e sono una persona guidata da forti desideri e volevo a tutti i costi avere successo in questa nuova vita e diventare ricco e famoso, sia tra i changeling che tra i mortali.
Per questi ultimi, seppi giocarmi bene le nuove carte che avevo in mano.
Ero particolarmente capace nel manipolare i sogni e decisi di sfruttare questa capacità per aprire un’agenzia del “buon riposo” a Cagliari che chiamai “Le 1000 e una notte” dove sostanzialmente le persone con sonni disturbati e travagliati vengono in un appartamento che presi in affitto in via XX settembre e dormono tranquilli in cambio di soldi e un Patto con me. Grazie a dell’ottimo marketing e la qualità del servizio, si sparse velocemente la voce e ancora oggi gli affari vanno a gonfie vele tanto che posso permettermi di avere altri due soci: i miei compagni di fuga dal mondo fatato! Non tutti i clienti sono facili, alcuni ospitano veri e propri mostri nei loro mondi onirici e a volte dobbiamo occuparcene, guadagnandoci la fama tra gli altri changeling di “dreamkillers”.
L’unico problema che nacque da tutto ciò fù che mi indebitai fino al collo con la malavita per avere il capitale iniziale necessario: Simone Camedda, grosso narcotrafficante di Cagliari, ancora oggi vorrebbe farmi la pelle per non avergli dato gli interessi di quel prestito.
Un altro sbocco per la mia nuova vita, venne dal cavalierato.
Decisi di entrare a far parte dell’Ordine cavalleresco della gabella.
Il loro codice morale traballante e i loro metodi poco ortodossi nello svolgere determinati lavori, facevano al caso mio poiché sono solito mettermi pochi scrupoli quando ho un obbiettivo da perseguire, specie se prevede l’ottenimento di grossi guadagni mettendo in pratica le mie capacità innate e acquisite.
Sono ancora giovane nella comunità dei changeling ma sono certo che riuscirò a crescere con il talento e la caparbietà che mi hanno accompagnato fino ad ora.